L’insolvenza delle imprese italiane nel 2012 è destinata ad aumentare, pertanto sempre più aziende rischieranno di chiudere definitivamente i cancelli. L’onda lunga dei fallimenti continua a inghiottire aziende, per uscire dalla crisi serviranno trasparenza, fiducia e sbocco su nuovi mercati.
Non ve dubbio che attualmente l’Italia stia attraversando il peggior periodo economico dal dopoguerra ad oggi, nei primi sei mesi del 2012 hanno chiuso i battenti quasi 35 imprese ogni giorno (oltre mille al mese), per un totale di 6.321 fallimenti. Dal 1° gennaio 2009 alla rilevazione attuale 39.159 imprese hanno portato i libri in tribunale, ossia il 30% in più in tre anni.
Attualmente l’edilizia è il settore in maggiore difficoltà. Il problema centrale è LA LIQUIDITA’, le aziende si trovano davanti a tempi di pagamento sempre più lunghi, quindi hanno difficoltà a incassare. Dall’altro lato la facoltà di concessione di credito delle banche si è ridotta moltissimo, causando il blocco del ciclo finanziario delle imprese. Il numero dei fallimenti, è numericamente più alto è in Lombardia e nelle regioni con più aziende, è del tutto evidente però che nelle regioni con meno aziende il numero scende, ma le percentuali tra il rapporto aziende fallimenti è comunque molto alto.
LA RIFORMA DELLA LEGGE FALLIMENTARE N. 83/2012
Il governo prevedendo un possibile aggravarsi della situazione ha licenziato un provvedimento inserito nel decreto legge sulla crescita (n. 83 del 2012) che nelle intenzioni dell’esecutivo dovrebbe essere un’importante riforma delle procedure concorsuali con l’obiettivo dichiarato di far continuare a far sopravvivere l’impresa. Viene cosi introdotto l’istituto del concordato preventivo con continuità aziendale, sarà quindi possibile per l’imprenditore che versi in difficoltà economiche presentare una domanda di concordato in bianco, dopo di che avrà da 60 a 120 giorni per presentare un piano dettagliato.
Il legislatore tuttavia trascura un fatto importate ovvero il concordato è una procedura costosa e da un punto di vista pratico i soggetti principali della procedura tenderanno certamente a salvaguardare la propria posizione piuttosto che quella di un’azienda in seria difficoltà. In questo senso entra in gioco il ceto bancario che a nostro avviso difficilmente si renderà disponibile ad erogare nuova liquidità finanziaria per mantenere in piedi l’azienda, anzi poterebbe addirittura rendersi necessaria una fideiussione per il pagamento del canone di affitto della nuova azienda, quanto ai creditori senza un organismo in grado di fornire garanzie sulla continuità dell’azienda, difficilmente gli altri soggetti coinvolti sceglieranno di correre dei rischi in proprio per salvaguardare la continuità dell’azienda.
In tal senso ancora una volta e del tutto evidente, che qualsiasi concordato preventivo che non sia liquidatorio non può prescindere dall’apporto di nuova finanza, proveniente, nella pressoché totalità dei casi, dagli istituti di credito già esposti nei confronti del debitore.
COME USCIRE DALLA CRISI.
Il nuovo istituto previsto dalla legge fallimentare va studiato e utilizzato caso per caso, richiedendo un continuo approfondimento e aggiornamento della normativa di riferimento, oltre a questo un ruolo rilevante certamente lo svolgono gli istituti di credito, necessari per condividere le soluzioni adottate dai tecnici. In tal senso un piano di risanamento o a un accordo di ristrutturazione che contemplino la soddisfazione integrale del credito, richiedono quasi sempre l’erogazione di nuova finanza, accedere a nuova liquidità richiede un apertura di credito da parte del ceto bancario. L’azienda in tal senso non può e non deve essere decotta perché in tal caso l’istituto di credito finanziandola rischierebbe solo di aumentare La propria esposizione complessiva. Occorre quindi che ci siano effettivamente reali e concrete possibilità affinché l’azienda possa rimanere sul mercato.
Inoltre ogni azienda richiede delle soluzioni che tengano conto delle sue specifiche problematiche, l’area in cui è situata oltre che l’ambito economico in cui opera etc. In passato l’estrema disinvoltura finanziaria accordata dal sistema economico soprattutto per l’accesso al credito, ha incoraggiato e in certi casi favorito l’impiego di pratiche molto discutibili e speculative che di fatto ci hanno poi portato alla situazione attuale. E’ necessario quindi che le imprese ripartano dai fondamentali rimettendo in gioco elementi semplici da sempre sottovalutati.
Un esempio può essere quello della trasparenza, infatti un azienda trasparente funziona meglio, perché si riescono a mostrare le capacità delle imprese ed il loro stato di salute fornendo informazioni corrette ai fornitori, tra i quali in primis la banca. Trascurando per un attimo il ruolo vorace quasi predatorio che svolge lo Stato Italiano nell’essere implacabile nel richiedere perentoriamente il pagamento delle tasse trascurando però di essere altrettanto puntuale nell’effettuarli, una sana prudente e corretta gestione dell’impresa determina quasi sempre un buon risultato e non a caso aprendo nuove prospettive ad esempio all’estero e questo tipo di imprese, sono quelle che hanno meglio sopportato questa crisi.
LA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO PER FAMIGLIE E PMI.
La legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento delle famiglie e consumatori (e delle piccolissime imprese che non falliscono) è stata introdotta nel nostro ordinamento (con il dl 212 del 22 dicembre 2011) . Nelle intenzioni del legislatore in tempi di crisi, è necessario, dotarsi di strumenti giuridici che agevolino la ristrutturazione dei debiti, tuttavia la normativa attualmente è incompleta in quanto ad oggi non è ancora stato emanato un regolamento del ministro della giustizia per disciplinare la formazione dell’elenco degli Organismi di composizione della crisi (Occ), infatti sarebbero questi a valutare concretamente la fattibilità della composizione della crisi. Pertanto allo stato lo strumento non è utilizzabile, l’auspicio e che a breve l’attuale esecutivo provveda ad emanare il regolamento.
NORMATIVA
L’art. 2 della legge 3/2012 prevede che la proposta (di accordo di ristrutturazione) è ammissibile quando il debitore: sia sovraindebitato non assoggettabile alle procedure concorsuali ex Rd 267/1942 (l.f). e alle procedure previste dall’art. 1 l.f. (fallimento e concordato preventivo) e non ha fatto ricorso, nei precedenti tre anni, alla procedura di composizione della crisi. Sotto il profilo oggettivo, il debitore deve trovarsi in «stato di sovraindebitamento», vale a dire in una situazione di perdurante squilibrio fra le obbligazioni assunte e il patrimonio liquidabile per farvi fronte, nonché di defi nitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, i soggetti che potranno usufruire di tale strumento sono:
- Imprenditori non commerciali non fallibili per mancanza dei requisiti dimensionali (cc.dd. «imprenditori sotto soglia»);
- Enti non commerciali e dai lavoratori autonomi;
- Imprenditori agricoli (che per default non svolgono attività commerciale), ancorché costoro possano accedere agli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis e alla transazione fiscale ex art. 182 ter;
- Debitore civile, che non esercita attività d’impresa.